Seconda Parte
Non era una sua compagna di classe. Non sapeva neanche in che sezione fosse. Quando l’aveva vista per la prima volta aveva pensato che fosse più grande di lei, di due o anche tre anni. Aveva anche pensato che potesse addirittura essere una ripetente. Ma di una cosa si era resa subito conto: era come lei. Aveva lo stesso sguardo, che si posava indifferente su tutto, come se guardasse senza vedere. La prima volta l’aveva notata mentre passeggiava per i corridoi della scuola durante la pausa pranzo, ma non si erano neppure guardate. La seconda volta, invece, i loro sguardi si erano incrociati. E la terza volta, lei le si era avvicinata, e per prima aveva parlato. Si chiamava Aiko. Sebbene dimostrasse qualche anno in più, lei e Himeko avevano la stessa età. Estranea. Questa parola poteva descrivere Aiko nel modo migliore. Durante la sua infanzia non aveva avuto molto, a parte il divorzio tra i suoi genitori. Le difficoltà l’avevano fatta crescere in fretta, e questo aveva scavato tra lei e le sue coetanee un solco destinato ad allargarsi con gli anni. Anche per lei non nutriva alcun interesse per i comuni discorsi delle ragazze. E anche per lei le chiacchiere tra ragazzi erano del tutto irrilevanti. A differenza di Himeko, inoltre, i suoi risultati a scuola erano più scarsi, e non aveva alcun successo con i ragazzi. Con gli anni aveva imparato a considerare il mondo come un posto esclusivo dal quale lei sarebbe stata sempre tenuta fuori, perché non era carina, perché non era socievole, perché non seguiva questa moda o non le piaceva il tale attore o la tale cantante. D’altra parte, in un certo senso, non le importava nemmeno farne parte, perché non riusciva a vederne il fascino. Ciò che invece cercava era un mondo alternativo, un mondo in cui anche una come lei potesse esistere in modo compiuto e gratificante. Ed è superfluo aggiungere che nei suoi sedici anni di vita aveva realizzato che nulla di tutto ciò esisteva né sarebbe mai esistito. Il terrazzo sul quale Himeko si trovava era quadrato e chiuso da una ringhiera composta da pali di ferro arrugginiti in superficie. Alti circa un metro, erano messi a un metro e mezzo l’uno dall’altro, e tra essi era stesa una rete di filo di ferro inguainato, come quelle dei campi da tennis. Ad appoggiarcisi, tutta la struttura si fletteva pericolosamente verso l’esterno. Al centro del terrazzo c’era una minuscola costruzione: era lo stanzino in cui erano ospitate le caldaie e il motore dell’ascensore. Da lì si accedeva anche alla tromba delle scale. Dal suo tetto piatto si alzava l’antenna della TV, e la parabola puntava il cielo come i radar dei cartoni animati. La porta dello stanzino si aprì, e Himeko si girò di scatto, impaziente. Aiko sbirciò il terrazzo, vide l’amica e le si avvicinò. « Sei un po’ in ritardo.» la rimproverò la prima « Dove sei stata?» « Ho fatto fatica a trovare il posto.» si giustificò la ritardataria « La mappa che mi hai fatto sul quaderno era abbastanza complicata.» Si guardarono negli occhi, a lungo cercando la conferma del loro intento, poi, ad un cenno di Aiko, le ragazze si andarono a sedere in un posto riparato dal vento e aprirono un quaderno. Confabularono a lungo, sedute l’una vicino all’altra, stringendosi il più possibile per ripararsi dall’aria che diventava sempre più fredda man mano che la sera avanzava. A quell’ora forse le stavano già cercando. Himeko sapeva che la sua assenza dal club sarebbe stata notata e Aiko sapeva che sua madre, con la quale viveva, avrebbe notato il suo innaturale ritardo. Senza accorgersene cominciarono a singhiozzare, poi a piangere. Decisero ciò che andava scritto, e firmarono entrambe il foglio con mano tremante. Lo strapparono dal quaderno ad anelli e lo misero in una delle due cartelle, che appoggiarono vicino alla ringhiera di recinzione, in modo che venisse agevolmente ritrovata. Si asciugarono gli occhi con un lembo dell’uniforme, e sentirono il bruciore che il vento causava sulla pelle irritata dalle lacrime. Scavalcarono con cautela la traballante recinzione, rimanendo in precario equilibrio sul cornicione. Il vento proveniente dal basso gonfiava loro le gonne. Le scarpe con la suola di cuoio offrivano una presa molto scarsa sul cemento, e le mani che stringevano la rete metallica cominciavano a far loro male. Guardavano in basso piangendo: sul marciapiede sotto di loro la città continuava ignara la sua frenetica vita. Alzarono gli occhi e si scambiarono uno sguardo d’intesa. La destra dell’una strinse la sinistra dell’altra, poi lasciarono simultaneamente la presa sulla rete. Himeko mantenne gli occhi aperti durante la caduta. Vide la strada sotto di sé, poi il muro del palazzo dal quale si erano gettate scorrere velocemente, quindi il cielo scuro e gelido e i grattacieli e di nuovo la strada. Stringeva ancora forte la mano di Aiko, che non aveva mai lasciato nonostante i forti strattoni che avevano accompagnato le capriole durante la caduta. Si tirarono l’una verso l’altra e riuscirono ad abbracciarsi. Il tonfo dei due corpi sull’asfalto. La folla impazzita. La polizia. L’inutile chiamata di un’ambulanza. Il trasporto in ospedale. L’identificazione dei corpi e la comunicazioni ai parenti. Il ritrovamento delle cartelle delle due ragazze. Il foglio di quaderno macchiato di lacrime: “Non abbiamo un motivo per morire, ma non ne abbiamo nemmeno uno per vivere.”
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