lunedì 26 giugno 2017

La Strega

Una strega temuta da tutti. Un guerriero incaricato di difendere il suo villaggio. Il giorno in cui le loro vite cambieranno per sempre.
Disponibile su Kindle!
La vallata era ampia e occupata da campi coltivati su entrambi i lati della mulattiera, in quel punto dove le montagne si aprivano a ventaglio, rimanendo tuttavia molto alte. Il vento si incanalava in essa proveniente da Nord, gelido e tagliente, e batteva l'erba alta costringendola a piegarsi come una mano invisibile e pesante. Il villaggio si trovava in fondo alla vallata, arroccato sul crinale del monte, per essere più facilmente difendibile da eventuali attacchi. Sebbene evenienze simili non si verificassero più da almeno cinquant'anni, il prolungato periodo di pace non era stato sufficiente a convincere gli abitanti a scendere a valle. Il ragazzo attendeva da solo, lungo quel sentiero che, unico, conduceva al villaggio, resistendo al vento gelido che gli spostava sugli occhi i lunghi capelli neri. Anche oggi l'avrebbe incontrata. Anche oggi avrebbe sguainato la spada, e con un grido di guerra si sarebbe lanciato contro di lei. E questa volta l'avrebbe sconfitta. D'altronde, se il suo villaggio era ancora salvo, era merito suo. Nessun altro aveva avuto il coraggio di sfidare lei, la Belva, come era chiamata con terrore da una parte all'altra del continente. Sembrò comparire dal nulla, all'improvviso, seduta ai piedi di quell'olmo dal tronco nodoso e piegato su se stesso, dove il sentiero descriveva una curva. Con un'ocarina suonava una triste melodia, che il vento freddo portava alle orecchie del giovane guerriero. Indossava la consueta tunica bianca, e teneva i capelli castani legati a formare una treccia. Gli occhi verdi avevano sempre la medesima espressione. La prima volta che l'aveva vista non aveva creduto che lei potesse essere davvero la Belva sanguinaria di cui si parlava in tutto il regno, la crudele strega che con un solo incantesimo aveva sterminato un esercito e formato un lago, là dove si estendeva solo una pianura. Era stato quello il biglietto con cui si era presentata al mondo, senza alcun altro scopo apparente che non fosse la distruzione. Dopo aver annientato l'esercito, aveva preso a muoversi a caso, diventando l'incubo dell'intero paese. Sembrava che avesse distrutto parecchi villaggi, e che nessuno si fosse mai salvato, dopo averla incontrata. Il suono dell'ocarina cessò improvvisamente. La ragazza girò gli occhi verso il giovane, distante circa duecento metri. Lui la vedeva appena, da quella distanza, ma lei prese a parlare, e la sua voce gli giunse immediatamente nel cervello. Gli sembrava di poter vedere le sue labbra muoversi, e l'odore della sua pelle giungergli alle narici, come se si stessero sfiorando. «Sei di nuovo qui?» chiedeva, dolcemente «Non ti sei ancora stancato?» «Mai, fino a che non ti avrò battuta.» le rispose. Parlava a bassa voce, come se l'avesse accanto, e nonostante la distanza, lei riusciva a sentirlo. «Julian, perchè mi odi?»chiese, abbassando lo sguardo.
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giovedì 6 aprile 2017

LA FOGLIA E LA TEMPESTA

L’acqua del fiume era rossa della luce del sole al tramonto, e una brezza leggera portava fin lì l’odore del mare vicino. Dall’altra riva giungevano i comuni rumori del porto. Solo il guizzo di qualche pesce increspava di tanto in tanto la superficie dell’acqua che scorreva placida. Anche il suo animo era come il fiume, calmo e placido, di tanto in tanto increspato da una punta di rabbia o d’inquietudine, solo un residuo di ciò che aveva provato nell’ultima settimana. Aspettava con le braccia conserte, appoggiata alla balaustra, con lo sguardo perso nei riflessi che la luce produceva sull’acqua sottostante. Alzò appena una gamba, accennando un calcetto sul selciato, e sospirò. Girò gli occhi spostando la sua attenzione su una foglia portata dal vento che, caduta da uno degli alberi che adornavano il ciglio del viale alle sue spalle, si era posata sull’acqua ed era ora cullata e portata a valle dalla corrente, mentre girava lentamente su se stessa. Sorrise malinconica: la sua corrente non era stata così calma, come testimoniavano l’uniforme che portava e le cicatrici sul suo corpo e sul suo cuore. La foglia si imbatté presto in un mulinello, inabissandosi. Almeno infine la sua corrente burrascosa l’aveva condotta in un porto sicuro. Rinnegata dal suo albero quand’era solo un germoglio, il vento e la corrente l’avevano sballottolata più volte; spesso aveva corso il rischio di inabissarsi e si era salvata per il rotto della cuffia. Era infine approdata in una piccola rada, dove certo, le burrasche non mancavano, ma dove un lembo di terra e qualche scoglio la riparavano dalle onde più violente. Nel calore e nella calma di quella rada la foglia si era fatta seme e quindi germoglio, e finalmente si apprestava a dare i suoi frutti. E in quel momento, l’albero ingrato che l’aveva abbandonata tornava a succhiarle linfa vitale.
La ragazza si strinse nelle spalle, investita da un primo soffio della brezza serale. Si rilassò, contemplando nuovamente l’acqua increspata dal vento.
«Tanya!» la ragazza girò la testa, alzandosi dalla balaustra. Un uomo e una donna guardavano verso di lei. Non poteva riconoscerli, ma sapeva che erano gli unici civili a conoscere il suo nome. Si mise in piedi, rivolta agli interlocutori.
«Immagino che siate i signori Langley.» disse, con tono distaccato.
La donna le si avvicinò esitante, la scrutò bene in viso. I capelli e gli occhi erano dello stesso colore, rossi i primi e verdi i secondi. Allungò la mano verso l’impassibile volto della giovane; lo sfiorò con la punta delle dita, come per cercare un contatto al quale la ragazza non si sottrasse, ma al quale non concesse alcuna partecipazione. La donna ritirò a coprirsi la bocca, poi chiamò la figlia con la voce strozzata dal pianto e l’abbracciò stringendola al seno. Anche in questo caso Tanya non si oppose, ma dopo qualche istante:
«L’uniforme…» pronunciò con freddezza.
«Come?…» balbettò la donna.
«Si sgualcisce.» completò l’altra con distacco «Mi lasci.»
La donna la lasciò andare istantaneamente, come se avesse preso la scossa…Un soffio di vento sottolineò quell'atmosfera di totale estraneità. Rimasero tutti e tre in silenzio. Tanya colse quel momento per osservare meglio i due adulti. Lui doveva avere tra i trenta e i trentacinque anni, la donna doveva essere poco più giovane. Sorrise tra sé e sé osservando i loro volti sorpresi.
«Abbiamo fatto un lungo viaggio per cercarti.» spiegò il padre, avvicinandosi di qualche passo «Sapessi quanta fatica abbiamo fatto per rintracciarti, quante volte abbiamo temuto che fossi già morta!»
Tanya sollevò l’angolo della bocca in un sorriso sarcastico:
«Lo immagino, dopo quattordici anni.»
Quando era stata abbandonata dai suoi era troppo piccola per capire; quando le autorità del suo pianeta decisero la sua eutanasia, aveva solo quattro anni e a cinque, solo a una manciata di ore dall’esecuzione, era stata arruolata nella Lega Stellare. Ironicamente, a salvarle la vita era stata un’istituzione il cui compito era portare la morte. Senza che nessuno la interpellasse fu avviata al mestiere delle armi e ora che si era abituata a tutto ciò e aveva trovato un suo posto nel mondo, qualcuno voleva ancora decidere per lei. Non lo avrebbe permesso, stavolta.
«Torna con noi!» la esortava con insistenza il padre « Possiamo ricominciare.»
Queste parole non la toccavano. Più li sentiva parlare e più si rendeva conto che quei due per lei erano dei perfetti estranei. Erano inopportuni e invadenti; li guardava piagnucolare le loro ragioni, così piccoli e meschini. Ricominciare, dicevano. Non c’era nulla da ricominciare, perché nulla era mai iniziato.
«In fondo, siamo la tua famiglia!» la implorò infine la madre.
L’acqua si increspò sul fiume nella stessa misura in cui il cuore di Tanya cominciava a ribollire di rabbia.
«Per me siete solo due estranei.» rispose, mantenendo un atteggiamento composto, mentre scrutava decisa i loro visi. L’uomo e la donna la fissarono impietriti; cercarono di balbettare qualcosa ma Tanya li prevenne risoluta:
«Personalmente trovo già abbastanza umiliante portare il vostro stesso nome e avere il vostro stesso sangue. Non esiste una sola possibilità che io lasci le Truppe da Sbarco per riavvicinarmi a voi, perché sono loro la mia famiglia, ora.»
In quel momento la ragazza sentì chiamare il suo nome. Un veicolo aveva accostato sulla strada poco distante, e alcuni ragazzi la chiamavano dicendo che dovevano recarsi all’imbarco per un’esercitazione. Tanya si girò per raggiungere i compagni, considerando così conclusa la sgradevole faccenda, ma la madre tentò per un’ultima volta di trattenerla:
«Noi ti abbiamo dato la vita!»
«E me la stavate togliendo.» replicò sprezzante la ragazza, tornando a guardare verso di loro «Siete solo due egoisti. Se volete un figlio, fatelo. Oppure è un altro il motivo per cui siete venuti a cercarmi proprio ora? La mia vita è stata salvata dalla Lega Stellare, nelle Truppe da sbarco ho trovato il mio futuro e sul campo di battaglia incontrerò un giorno la mia morte. Per voi, come vedete, non c’è più posto; di voi non ho memoria come genitori, per voi non provo alcun sentimento. Per me è come se non foste mai esistiti.»
Proferendo queste ultime parole, lo sguardo di Tanya si era fatto aggressivo, per convincere i due affinché desistessero definitivamente. Lanciò loro un’ultima occhiata, poi si diresse verso la strada. Ma quelli non ne volevano proprio sapere, e si lanciarono in avanti, afferrandola per le braccia.
«Ehi, Snake,!» chiamò uno dei ragazzi «Quei due stronzi le stanno mettendo le mani addosso!»
L’uomo chiamato Snake, seduto all’ultimo posto in fondo al veicolo, osservava con tranquillità la scena. Sapeva benissimo che dei civili non avrebbero mai potuto competere con un soldato delle Truppe da Sbarco, sebbene si trattasse solo di una ragazzina di quindici anni disarmata. Guardò i volti dei suoi uomini, capì le loro intenzioni e scosse la testa, spiegando che si trattava di una questione personale di Blade, la loro compagna. Gli altri tornarono ad osservare ansiosi la scena. La ragazza riuscì a divincolarsi dai due adulti, e la videro affrettarsi, non seguita, verso di loro. Quando salì sul veicolo di trasporto truppe, Blade dovette confrontarsi con gli sguardi interrogativi dei compagni.
«Tutto ok?» chiese uno di loro, vedendola turbata.
«Certo Vega.» fu la scorbutica risposta « Nulla che non possa risolvere da sola.»
Il suo tono non ammetteva repliche, e così anche gli altri ragazzi evitarono di immischiarsi. Blade andò a sedersi in fondo al veicolo, proprio a fianco di Snake. Questi la degnò solo di un’occhiata; i loro sguardi si incrociarono e quello della ragazzina si abbassò, mentre si sedeva. Il veicolo si mosse lentamente.
«Credi che abbia fatto la cosa giusta?» chiese infine Blade.
Snake le rispose con un sorriso, e aggiunse che quella domanda doveva rivolgerla a se stessa. La ragazzina sorrise a sua volta, e gli chiese della sua famiglia. L'uomo si girò verso di lei sorpreso, poi il suo sguardo si posò sugli altri soldati seduti davanti a lui, quindi tornò sulla ragazzina.
«E’ la migliore del mondo.» rispose con un sorriso.

giovedì 23 marzo 2017

NESSUN MOTIVO
Seconda Parte

La prima parte la trovi qui

Non era una sua compagna di classe. Non sapeva neanche in che sezione fosse. Quando l’aveva vista per la prima volta aveva pensato che fosse più grande di lei, di due o anche tre anni. Aveva anche pensato che potesse addirittura essere una ripetente. Ma di una cosa si era resa subito conto: era come lei. Aveva lo stesso sguardo, che si posava indifferente su tutto, come se guardasse senza vedere. La prima volta l’aveva notata mentre passeggiava per i corridoi della scuola durante la pausa pranzo, ma non si erano neppure guardate. La seconda volta, invece, i loro sguardi si erano incrociati. E la terza volta, lei le si era avvicinata, e per prima aveva parlato. Si chiamava Aiko. Sebbene dimostrasse qualche anno in più, lei e Himeko avevano la stessa età. Estranea. Questa parola poteva descrivere Aiko nel modo migliore. Durante la sua infanzia non aveva avuto molto, a parte il divorzio tra i suoi genitori. Le difficoltà l’avevano fatta crescere in fretta, e questo aveva scavato tra lei e le sue coetanee un solco destinato ad allargarsi con gli anni. Anche per lei non nutriva alcun interesse per i comuni discorsi delle ragazze. E anche per lei le chiacchiere tra ragazzi erano del tutto irrilevanti. A differenza di Himeko, inoltre, i suoi risultati a scuola erano più scarsi, e non aveva alcun successo con i ragazzi. Con gli anni aveva imparato a considerare il mondo come un posto esclusivo dal quale lei sarebbe stata sempre tenuta fuori, perché non era carina, perché non era socievole, perché non seguiva questa moda o non le piaceva il tale attore o la tale cantante. D’altra parte, in un certo senso, non le importava nemmeno farne parte, perché non riusciva a vederne il fascino. Ciò che invece cercava era un mondo alternativo, un mondo in cui anche una come lei potesse esistere in modo compiuto e gratificante. Ed è superfluo aggiungere che nei suoi sedici anni di vita aveva realizzato che nulla di tutto ciò esisteva né sarebbe mai esistito. Il terrazzo sul quale Himeko si trovava era quadrato e chiuso da una ringhiera composta da pali di ferro arrugginiti in superficie. Alti circa un metro, erano messi a un metro e mezzo l’uno dall’altro, e tra essi era stesa una rete di filo di ferro inguainato, come quelle dei campi da tennis. Ad appoggiarcisi, tutta la struttura si fletteva pericolosamente verso l’esterno. Al centro del terrazzo c’era una minuscola costruzione: era lo stanzino in cui erano ospitate le caldaie e il motore dell’ascensore. Da lì si accedeva anche alla tromba delle scale. Dal suo tetto piatto si alzava l’antenna della TV, e la parabola puntava il cielo come i radar dei cartoni animati. La porta dello stanzino si aprì, e Himeko si girò di scatto, impaziente. Aiko sbirciò il terrazzo, vide l’amica e le si avvicinò. « Sei un po’ in ritardo.» la rimproverò la prima « Dove sei stata?» « Ho fatto fatica a trovare il posto.» si giustificò la ritardataria « La mappa che mi hai fatto sul quaderno era abbastanza complicata.» Si guardarono negli occhi, a lungo cercando la conferma del loro intento, poi, ad un cenno di Aiko, le ragazze si andarono a sedere in un posto riparato dal vento e aprirono un quaderno. Confabularono a lungo, sedute l’una vicino all’altra, stringendosi il più possibile per ripararsi dall’aria che diventava sempre più fredda man mano che la sera avanzava. A quell’ora forse le stavano già cercando. Himeko sapeva che la sua assenza dal club sarebbe stata notata e Aiko sapeva che sua madre, con la quale viveva, avrebbe notato il suo innaturale ritardo. Senza accorgersene cominciarono a singhiozzare, poi a piangere. Decisero ciò che andava scritto, e firmarono entrambe il foglio con mano tremante. Lo strapparono dal quaderno ad anelli e lo misero in una delle due cartelle, che appoggiarono vicino alla ringhiera di recinzione, in modo che venisse agevolmente ritrovata. Si asciugarono gli occhi con un lembo dell’uniforme, e sentirono il bruciore che il vento causava sulla pelle irritata dalle lacrime. Scavalcarono con cautela la traballante recinzione, rimanendo in precario equilibrio sul cornicione. Il vento proveniente dal basso gonfiava loro le gonne. Le scarpe con la suola di cuoio offrivano una presa molto scarsa sul cemento, e le mani che stringevano la rete metallica cominciavano a far loro male. Guardavano in basso piangendo: sul marciapiede sotto di loro la città continuava ignara la sua frenetica vita. Alzarono gli occhi e si scambiarono uno sguardo d’intesa. La destra dell’una strinse la sinistra dell’altra, poi lasciarono simultaneamente la presa sulla rete. Himeko mantenne gli occhi aperti durante la caduta. Vide la strada sotto di sé, poi il muro del palazzo dal quale si erano gettate scorrere velocemente, quindi il cielo scuro e gelido e i grattacieli e di nuovo la strada. Stringeva ancora forte la mano di Aiko, che non aveva mai lasciato nonostante i forti strattoni che avevano accompagnato le capriole durante la caduta. Si tirarono l’una verso l’altra e riuscirono ad abbracciarsi. Il tonfo dei due corpi sull’asfalto. La folla impazzita. La polizia. L’inutile chiamata di un’ambulanza. Il trasporto in ospedale. L’identificazione dei corpi e la comunicazioni ai parenti. Il ritrovamento delle cartelle delle due ragazze. Il foglio di quaderno macchiato di lacrime: “Non abbiamo un motivo per morire, ma non ne abbiamo nemmeno uno per vivere.”

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martedì 14 marzo 2017

NESSUN MOTIVO
Prima Parte

Il vento soffiava tagliente, per essere in primavera, e il cielo grigio non prometteva nulla di buono. Dalla terrazza del palazzo su cui si trovava, Himeko poteva vedere bene, sotto la campana di nubi, le strade sottostanti brulicanti di auto e di persone. Tutt’intorno a lei, i grattacieli sembravano circondare minacciosi quel palazzo più basso. All'interno degli uffici le luci erano già accese, e sforzandosi la ragazza poteva arrivare a vedere anche gli impiegati intenti al lavoro. Ma non le importava. Fece un profondo respiro. L'aria fredda la fece rabbrividire nell'uniforme scolastica. A quell’altezza l’odore acre dello smog della metropoli non arrivava, e se non fosse stato per i rumori del traffico, chiudendo gli occhi avrebbe potuto immaginarsi sulla cima di una collina. Era in anticipo, perché dopo la scuola non se l'era sentita di andare al club, ed era rimasta in giro per la città, in attesa che arrivasse l'ora dell'appuntamento. Forse avrebbe fatto meglio ad aspettare in un bar, o in una sala giochi. A star lì all'aperto le sarebbe venuto un malanno. Sorrise mesta di quest'ultima considerazione, e si mosse fino a raggiungere il lato opposto del terrazzo sul quale si trovava. Da lì si poteva vedere l'autostrada, con il suo carosello multicolore di veicoli in marcia. Ma anche quella vista le era del tutto indifferente. Si chiese improvvisamente da quanto tempo andasse avanti cosi, e non seppe darsi una risposta. Guardava attraverso lo spettacolo del mondo come attraverso un limpido cristallo, al di là del quale non c'era nulla. La moda e la musica che tanto interessavano le sue compagne di classe, non l’attraevano. I videogiochi e lo sport di cui i suoi coetanei discutevano animatamente durante l’intervallo, non la entusiasmavano. Lo stesso valeva per le soap davanti alle quali sua madre passava attenta le ore del pomeriggio, o per la maggior parte dei discorsi che facevano gli insegnanti durante le lezioni. Di tutte queste cose percepiva solo la terribile vacuità. Non c’era nulla di fondamentale in ciò che le stava attorno, nulla che fosse da ottenere ad ogni costo, con uno sforzo immane e con la soddisfazione di avercela finalmente fatta. Ma che cosa ci poteva essere di fondamentale? La scuola, in fondo, era solo una questione di parole. Si trattava di ripetere ciò che veniva detto, e di fare come veniva detto di fare. I suoi genitori le davano non solo più di quanto chiedesse, ma più di quanto avrebbe mai pensato di chiedere, e senza che lei dovesse fare poi molto in cambio. Era come continuare a mangiare per forza: nauseante. Il chiacchiericcio senza fine delle altre ragazze ormai la infastidiva come nemmeno i talk show in tv riuscivano a fare. Non ricordava da quanto ormai il mondo avesse cominciato ad avvizzirle attorno, ma era ormai da molto che temeva queste sue sensazioni. Temeva di essere la sola a pensarla cosi. Ne parlava, a volte, con i ragazzi che le si avvicinavano, ma questi scappavano a gambe levate. Aveva provato a parlarne, timidamente, anche a casa, ma tutto ciò che aveva ottenuto dai suoi genitori erano sguardi esterrefatti, e repliche stizzite di chi riteneva, in buona fede, di aver fatto tutto il possibile. Le avevano dato tutto ciò che loro da giovani avevano desiderato e non avevano potuto avere. Davanti a considerazioni di questo tipo, Himeko non poteva fare altro che sentirsi come un’ingrata. Ma dentro di lei, sentiva che c’era qualcosa oltre al semplice “dare”. C’era qualcosa, al di là della scuola, del lavoro, dei vestiti e delle chiacchiere. C’era sicuramente qualcosa, oltre tutto ciò che la tv le vomitava in casa chiamandolo vita, perché non era possibile che tutto si riducesse a lavorare per acquistare un nuovo cellulare, un nuovo vestito, un nuovo cd, ed a trovare in qualche modo il tempo per essere moglie e madre. Ci doveva essere qualcosa, che forse non aveva nemmeno un nome e che probabilmente faceva la differenza, che doveva fare la differenza. E tuttavia, il tempo l’aveva convinta che non era così. Tutto avrebbe continuato ad andare avanti come sempre, senza nessun significato.

Continua...

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venerdì 3 marzo 2017


Proprio ora, la Terra fa inconsapevolmente parte di un'alleanza spaziale di difesa chiamata Lega Stellare, a cui si è trovata ad aderire in tempi ormai remoti e circostanze poco chiare. Per la Lega Stellare il pianeta, situato al confine dei suoi domini, non è particolarmente importante, se non per il fatto che sia anch'esso popolato di esseri umani, e rappresenta solo un posto come un altro dove reclutare soldati e requisire materiali, lasciando completamente all'oscuro la popolazione terrestre. Ma quando, in seguito a quello che sembra un banale sconfinamento, si scoprirà che un'altra popolazione umana proveniente dall'esterno della Lega Stellare è interessata alla Terra, la Lega Stellare si ergerà a difesa del suo inconsapevole alleato. Il comandante Mackenzie e i suoi uomini si troveranno ad affrontare un lungo viaggio e a combattere aspre battaglie che rivoluzioneranno il destino di due mondi.

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